L'incertezza

SdS, 27 marzo 2022

Le convinzioni personali, originate e progressivamente rafforzate dall'esperienza esistenziale di ognuno di noi, sono alla base del nostro agire, lo specchio in cui ci identifichiamo prima realizzare ogni iniziativa.
Questa affermazione può rendersi con un'immagine: il bimbo che prima di fare qualcosa guarda il genitore per riceverne autorizzazione a procedere, che è anche, e soprattutto, conferma della propria identificazione, il proprio specchio che dice "ci sei".
È poi vero che procedendo con la crescita, allo sguardo genitoriale dei primi anni di vita va a sostituirsi via via lo specchio delle convinzioni acquisite come certezze umane: il proprio corpo, il dolore, il piacere, l'interazione con altri, la morte.
Fin qui, si parla del rapporto identificazione-certezza-azione come motore evolutivo di sé e dell'umanità.
Chi perde l'auto-idenficazione, temporaneamente o permanentemente, transitoriamente o definitivamente, qualunque sia la causa di questa essenziale perdita, non agisce più ovvero agisce senza alcuna finalizzazione: lo hanno vissuto in molti, dalle condizioni di panico o di psicosi, generate da stress o da patologie organiche, fino allo stato di persone private con violenza delle proprie certezze, delle proprie convinzioni, recluse nella deprivazione della propria identificazione sociale, senza margine di azione.
In simili condizioni, quello che resta in noi è il pensiero incerto, comunemente e sinteticamente, l'incertezza.
L'incertezza non è un dato, è semmai una condizione di sospensione della propria auto-identificazione, in cui tutto è probabile, nulla di autorizzato, giustificato, legittimato, concesso, pur quel tutto avendo possibilità di manifestarsi nella realtà.
L'incertezza ci sospinge verso la speranza, quella labile sensazione che le certezze declassate a possibilità, tornino ad esserlo per noi, e per gli altri, nei quali ci identifichiamo, seppur nella consapevolezza della propria diversità individuale.
Domenico Renna per Società dei Sogni


L'assenza che rivela

25 aprile 2021 - Domenico Renna


Vi sono diversi modi di aderire al cristianesimo, anche inconsapevolmente. Sembrerebbe vano tentarne una sintesi finale di convergenza verso un'unica prospettiva, ma è probabile che ciò avvenga molto più facilmente di quel che si immagini. 
Proviamoci, almeno secondo due indiscusse modalità direttrici portanti della fenomenologia di adesione.
Si può credere infatti al mistero della fede in Cristo, attraverso un percorso più o meno travagliato di misticismo, non meno disperato di quello patito da Gesù di Nazareth sulla croce, laddove crede egli stesso di essere stato abbandonato da Dio. Chi crede senza travaglio interiore, travaglio da intendersi proprio in senso etimologico come elaborazione e ricerca interiore, facilmente ricade in fede cieca o fanatismo.
Si può credere, dualmente, all'ispirazione di quanti storicamente, movendo dalle sacre scritture hanno dato voce ed espressione- con elaborazione e ricerca- di grande plasticità rappresentativa, al cristianesimo, da riguardare in tal senso come il più imponente movimento artistico-letterario della storia dell'umanità.
Elaborazione e ricerca, sembrerebbero pertanto essere il comune denominatore delle duali suddette esperienze umane, di ogni tempo, del significato di cristianesimo, della sua percezione.
Ma elaborazione e ricerca interiore sono anche gli unici strumenti di cui gli individui dispongono per sondare e vivere le proprie emozioni, con padronanza di sé, per sottrarle ad impalpabilità ed astrazione intellettuale: quella stessa astrazione che al Dio dei credenti mistici viene attribuita dai non credenti come pura metafisica.
È pertanto verosimile che un credente fideistico del cristianesimo rinunci alla comprensione logica dell'apparizione in terra di Cristo, così come un credente nello spirito della cultura artistica e letteraria cristiana, rinuncia ad approdarvi per razionalità. 

Avete mai fatto caso che l'amore porta in sé tutto questo? Se non ci aveste fatto caso, sarebbe ora l'occasione per  rifletterci.

L'amore, fra tutte le emozioni, è quella che più richiede elaborazione e ricerca, sul senso della vita interiore e della sua fine, che mai si vorrebbe, per trasformarsi in sentimento.
Non se ne vorrebbe soffrire di mancanza o assenza, di amore, quando ti coglie d'improvviso, come l'apparizione mistica di un Dio all'orizzonte della propria vita. E paradossalmente è la stessa assenza o mancanza del corpo di Gesù, al sabato santo, nella sua tomba, che rivelerà lui stesso nell'immateriale mondo ultraterreno.
Nello stesso tempo, se non si prova mancanza e assenza d'amore, non sussiste la comprova a noi stessi dell'amore, che resterebbe volatile evanescenza, inafferrabile.
Il credente mistico fa dell'amore il suo dogma, l'amore per il prossimo mi sembra di ricordare.
Il credente non già nella fede cristiana ma nel valore spirituale delle sue espressioni culturali, elabora e ricerca quello stesso amore, che ha ispirato produzione artistica secolare. 
Entrambi s'inseguono nel tempo della storia.
Ma, attenzione: né il primo nè il secondo possono fare a meno di una realizzazione materiale artistica- dipinti, sculture, chiese, luoghi di culto.
L'uno cerca l'altro, ama l'altro come se stesso, ritrovandosi spesso in una chiesetta di campagna.
Chi ha bisogno di chi?
Chi cerca chi?
Comunque la si voglia considerare, l'icona del cristianesimo resta lì, immobile e imponente da secoli, a rappresentare la più maestosa metafora dell'esperienza terrena dell'uomo: cercarsi per amare.