Una casa per amare

SdS, 10 luglio 2021

Ricordi di operai bergamaschi in una fabbrica a ciclo produttivo continuo, io con loro sui turni di lavoro, perché, ingegnere fresco di laurea, potessi cominciare a vivere dal basso il mondo della fabbricazione industriale, per poi diventare un dirigente che capisse i problemi reali dei lavoratori, prima di decidere scelte strategiche per l’azienda.

Siamo a Cassina Nuova di Bollate, hinterland milanese, al turno di notte, dalle 22 alle 6 del mattino successivo, afa e sudore di una 'notte di mezza estate' senza sogni, che suggerisce 'mancanza' rispetto alla stessa notte che richiama l'opera shakespeariana.

Prima dell'alba, pausa pasto nella mensa a cucine spente, si condividono i “pizzoccheri” di un padre di Clusone, cittadina appena sopra Bergamo, in salita verso l’altopiano della Val Seriana: racconta della figlia che è in procinto di sposarsi, e di sé, che con altri due operai, sta per terminare la costruzione della futura casa coniugale.

Domando, incredulo, come abbiano fatto, visto l’impegno di un lavoro di fabbrica sui turni, mi risponde che non ci vuol nulla, che “basta tirar su i muri, in tre, il resto va giù come il rosso Valcalepio”. Replico che avrà risparmiato sui costi di manodopera, a beneficio delle spese d’arredamento, mentre lui soggiunge che sarà costretto comunque a ricorrere ad un prestito finanziario in comode rate mensili, perché nei gusti d’arredo i promessi sposi sono esigenti. 

Proprio in quel momento, mi viene spontaneo quanto incontrollato l'esprimermi con un retorico interrogativo, da giovane novello sposo qual ero, se sua figlia ed il suo prossimo consorte si amassero tanto, evidentemente: “ è scontato- risponde il Belotti- mica che si mette su casa se non c’è amore!”.

Finisco di ricordare: ho pensato in quel momento che quel padre fosse stato fortunato col suo matrimonio e che, quanto mai stizzito da me, avesse risposto con vivace assertività scaramantica.

Nel corso degli anni, mi sono fatto una precisa idea della questione: ci sono case senz’amore e amori senza casa, e a decidere dei destini di case e amori non è la sorte. Non è mai la sorte a decidere di noi, fino a prova contraria che non si possa decidere cosa davvero desideriamo. 

La verità, è solo in quel “davvero”.

Ora però farei il tentativo di accostare l’idea di verità a quella di amore.

Giorni fa, postando su Instagram qualcosa sull’amore, mi è venuta in mente Alda Merini quando dice “Dio mio, dimmi amore mio come si fa ad amarti fisicamente se non baciandoti l’anima”.

Lo dice chi ha conosciuto l’amore, rinchiuso entro muri tirati su per delimitare gli spazi della follia, gli ex manicomi , e possiamo ben credere che il suo amore si sostenesse per immaterialità, nella condizione in cui tutti si versava in quegli spazi folli.

L’Amore non puo’ reggere a lungo la fisicità, neanche quella dei muri di casa, perché un muro è un limite, un confine divisorio fra individualità e alterità, mentre l’amore è condivisione estrema fino all’identificazione totale dell’Io nell’Altro, e si nutre di libertà, quella necessaria e imprescindibile per tale identificazione, che nulla ha a che vedere con la dimensione della materialità, che semmai può solo limitare ed ostacolare il processo d’identificazione di due persone che porta a costituire unità identitaria.

In un abbraccio d’amore, c’è tutto, la piena identità di due persone si esprime, quando intorno non c’è più nulla, quando cioè tutt’intorno c’è il nulla materiale, non una casa, sotto la pioggia come sotto il sole che scalda, in un portone abbandonato o in un vagone ferroviario isolato di un parco pulizie dei treni o in aperta campagna, sotto fresche frasche. Al massimo, ci vorrà un tetto, una copertura, un mantello, non l’alibi dei muri, che testimoniano il ritiro nel proprio senso di paura, che in fondo giustifica quello di proprietà fisica o di sicurezza.
L’amore è altro.

E' abbandono con fiducia, alla propria consegna ad altri che a loro volta si consegnano a noi, in forma di resa incondizionata nella reciprocità, nel mutuo perdersi e confondersi della propria individualità. 

L’amore realizza un’unica comune dimora materiale, temporanea, quella dei nostri corpi quando si congiungono in unico corpo che trascende i singoli, e il rinnovarsi incessante di tale residenza temporanea è governato proprio da identità immateriale, o spirituale, se si vuole:

- "Amore mio, le rose che ti ho donato, non so se vivranno fino al momento in cui avremo una nostra casa, se e quando sarà".

- "Amore tuo, le rose che mi hai donato, è giusto che vivano per quanto potranno, certa che la loro casa è già in noi, per sempre"