Il sacro e il Santo.
SdS, 10 novembre 2022
Non è ancora accertato se sia meglio conoscere o ignorare: la conoscenza è assunzione di responsabilità, l'ignoranza è dimissione dall'esistenza.
In buona sostanza, ci entriamo davvero in questa vita o ne stiamo fuori?
Perché è evidente che sulla sua soglia non si sosta indecisi, s'intralcia il passaggio altrui, punto e a capo.
È bello però immaginare di poter prendere distanze variabili, da ogni cosa che tenti di coinvolgerci, una vita a misura del nostro stato d'animo. Piove e fa freddo, mi rintano nel mio tepore più intimo; fuori di casa fanno festa, esco e ci vado.
Aderire o separarsi?
C'è un'antica radice etimologica linguistica che fa per noi: sak.
Conoscerla sarà responsabilità a carico di Società dei Sogni.
Sak viaggiava sulle bocche di tanti popoli che crediamo così lontani da noi nel tempo di millenni, quando poi sono così vicini a noi nel modo di sentire il mondo, talora come un "tutto fuori da noi" in tutta la sua forza vitale, quasi sovrumana, e a cui "attaccarsi" perché conviene non privarsene, talora invece come entità da cui separarsi, perché percepito proprio come forza che ci costringe, ci tiene in pugno maledettamente.
Sak, da cui sacer, che significa sacro ma anche maledetto, da adorare o da respingere, fratello di Sa(n)k , pronunciato "col naso" (si parla di 'infisso nasale' in linguistica) che dà luogo a sancto, santo.
Non cambia granché da sacro a santo: anche da ciò che è santo, come per ciò che è sacro, non si sa bene se allontarci o se ridurre le nostre distanze. Nell'incertezza, nel frattempo, il "sacrosanto' viene invocato spesso come un diritto: "domani è il mio giorno del sacrosanto riposo lavorativo", vi risulta l'espressione?
Eppure, il sacro avrebbe a che fare più con l'inviolabile, ciò che non si può toccare né mettere in discussione, guai!, "Non si tocchi l'argenteria in salotto che è sacra!", e già questa intoccabilità sa un po' di maledizione: appunto, sacro e maledetto, a volte si fan guerra al confine.
Ma il santo no, il santo rientra nella sfera dell'umano: l'uomo si fa santo, ed è l'uomo a proclamare il santo, non Dio, così è la storia perché lo racconta la Storia, quella profana, non biblica, né il suo spin-off evangelico.
Pertanto, agli antichi popoli del nostro pianeta, Sak e Sank sono piaciuti moltissimo, anche insieme e contrapposti, e dei sacri e santi da loro derivati, ne facciamo uso ancora oggi.
Se sacro sta per "fuori dall'essere umano", e di conseguenza pubblico, riconosciuto da tutti, proprio perché non ci appartiene, il santo profano è il nostro più umano posseduto, il nostro più intimo privato: si prega nell'intimità per ottenere grazia dal santo devoto.
Allora è chiaro perché il rapporto fra noi e il sacro è pubblico: solo insieme possiamo affrontare ciò che è sacro, perché il sacro lo è per tutti o non lo è, non esistendo un sacro individuale, non avendo senso un qualcosa di inviolabile e di intoccabile per sé stessi, neanche l'anima, perché l'anima di ognuno è in ognuno.
La sacralità è fuori di noi, e se lo è, lo è per tutti, fuori da noi, e ci accomuna, nella sua intangibilità da parte nostra.
Ciò che ci resta di tangibile è proprio l'ognuno di noi, il singolo, che però è privato, non pubblico, esattamente come uno di noi non è il Tutto, che non ci appartiene perché non contenibile dal singolo individuo, così come il Tutto non è toccabile con una sola mano.
Per questo chi si occupa di inquadrare il concetto di " privacy", dentro e fuori di noi, del singolo e del pubblico, ricadrà sempre nella maledizione di Sak, così chiaro millenni fa, così complicato oggi da spiegare.
Però, Società dei Sogni, almeno ha provato a farlo.
Domenico Renna per Società dei Sogni