La nostra narrativa

MEDICINA NARRATIVA- 1

SdS, 25 marzo 2021 - di Denise Vacca

Scrivevo alle 18 circa di sabato 4 aprile 2020:  
"Alle 11 appuntamento in video collegamento waths app con Barbara e Domenico. Riunione di Direttivo che nasce dall’esigenza istituzionale di fare il punto sull’associazione in questo periodo ma anche di guardarsi negli occhi ogni tanto, a fronte del frequente scambio di messaggi sul gruppo waths app di Società dei Sogni.
Tra i punti all’ordine del giorno porto le mie riflessioni di questo periodo rispetto alla mole di parole che sui social stanno impolpando le future biblioteche di Medicina narrativa.
L’emergenza sanitaria che stiamo vivendo che ci trova impreparati perché nuova per tutti, ha sviluppato una pandemica necessità di esprimere impotenza, paura, dimostrazione di reazioni positive o negative, speranze. L’ho osservato soprattutto nei profili social degli operatori di salute e molto anche nei gruppi social “di settore”. Mi chiedo se queste persone in condizioni pre-virali avessero mai scritto di sé, dei propri stati d’animo o se mai avessero captato la solitudine della malattia e la necessità di ascolto di ammalati e familiari. Forse alcuni si. Ma credo ora molti di più. Perché molti verificano che neanche ai nostri tempi è assicurabile la salute e risolvibile lo stato di malattia nel batter di ciglia dell’intervento di macchine stramoderne e presidi tecnologici e farmacologici finora efficaci e quasi infallibili.
Allora cosa possono farci gli uomini e le donne padroni del mondo, della medicina e utopisticamente della vita, di fronte ad un aggregato minuscolo che si muove invisibile nell’aria parassitando gesti rituali dell’uomo?
Possono farci che, per non esplodere nell’attesa di ciò che sarà, nell’intercalare di “ne usciremo” interrogativo a “ne usciremo” esclamativo, provano a dire di sé, di ciò che vivono in prima linea nei reparti, o chiusi a casa in isolamento dopo positività all’infezione. C’è chi racconta di peggioramenti del proprio respiro, c’è chi dice dei pianti in corridoio dopo turni ingabbiati in maschere e tute di protezione, c’è chi racconta dello strazio di persone che muoiono male e sole. Poi ci sono i familiari degli operatori che narrano delle gesta eroiche dei loro cari, a volte capri espiatori di falle di un sistema sanitario impreparato anche a difendere chi lavora per lui, della difficoltà di condividere le mura domestiche con vettori possibili dell’infezione, e dell’ingiusta sorte dei figli di questi lavoratori, privati di scuola, amici, sport, coccole e notti nel lettone con mamma e papà… Ancora: raccontano i familiari di chi muore in ospedale, da solo e di come l’ultimo saluto può essere dato in pochissimi, alla spicciolata, circa all’ingresso del cimitero.
Dopo aver condiviso questi miei pensieri sull’urgenza espressiva delle persone in questo periodo, Domenico ha proposto di mettere nero su bianco, in poche cartelle, questi miei pensieri, per parlare di medicina narrativa, dal mio punto di vista, medico oncologo palliativista e cultrice della medicina narrativa. Lo ha chiesto anche a Barbara, per le sue competenze professionali. Ecco allora che io ho detto: bellissima idea, ma io ci vedo bene anche il tuo contributo in questa osservazione, da profano ma appassionato di medicina, di humanites.
Abbiamo allora deciso di allinearci sull’argomento, immergendoci tutti e tre, contemporaneamente nelle parole della massima rappresentante mondiale della medicina narrativa: Rita Charon, autrice del libro “Medicina narrativa. Onorare le storie dei pazienti”.
Con Barbara e Domenico continueremo a proporvi le nostre riflessioni , rispetto all'affascinante mondo della medicina che torna ad essere arte, (questa volta in forma di narrazione) e di arte che può essere cura, sia per chi cura che per chi è curato, sia per chi legge che per chi scrive.

Non è forse abbastanza chiaro quanto ciò sia di interesse dell'uomo saperlo, né quanto nuovo sia nuovo in sostanza, perché e purché esso è e sia un magico distrattore delle coscenze di massa dall'ingombrante idea della fine di tutti i possibili giochi della vita.

Adoro le storie, perché curano, anche quelle tristi, ci educano all'arte dell'ascolto, aiutano a comprendere gli altri e noi stessi, ed ascoltarle implica rispetto, perché raccontano dell'altro, sicuramente diverso da noi. Ascoltare le storie comporta essere pronti spesso a capire di più l'altro, impongono il coraggio di uscire dalle apparenze, di...